Dita degli apostoli
Cannelloni dolci di carnevale, oi a nuvola, oi a nnèula, oi a nèmula, oi ncannulati.
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- Processo produttivo
- Storie e tradizione
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Per la farcitura si amalgama la ricotta fresca, con zucchero o miele, in modo da ottenere un impasto cremoso. A questo si aggiunge cacao o vincotto o in alternativa un liquore dolce. A parte si prepara una pastella di albume d’uovo e un pizzico di sale, come per le crêpe. In una padella si fa scaldare del burro con qualche goccia di olio extra vergine di oliva; aiutandosi con un cucchiaio si versano piccole quantità di pastella nell’olio caldo e si lasciano dorare da ambo le parti, ottenendo così delle piccole frittelle rotonde. Una volta raffreddate si farciscono col composto di ricotta e si arrotolano per formare dei piccoli cannoli.
Si sistemano su un piatto da portata e si spolverano con zucchero a velo e cannella. Il dolce va conservato in frigo e servito freddo.
Il richiamo agli Apostoli fa presagire una correlazione con la religione cattolica; secondo alcuni autori tale dolce proviene dai conventi. Infatti, per spiegare le “dita degli apostoli” create con l’albume si potrebbe ipotizzare che le suore che producevano gli agnelli di pasta di mandorle ripieni di “faldacchiera” (una sorta di zabaione a base di tuorli d’uovo e zucchero) si trovassero grandi quantitativi di albume inutilizzati. Del resto, è importante evidenziare la funzione che ebbero i monasteri femminili nello sviluppo della pasticceria pugliese al punto da considerare monopolio di essi i più importanti ricettari; ciascun monastero aveva le proprie specialità.
Una interessante informazione storica su questo dolce è fornita da Sada nel libro “La cucina della terra di Bari” (1991). L’autore descrive: «Ritornando ai monasteri, ciascuno di essi aveva le proprie specialità… ed ancora, per restare a Bari, le clarisse di Santa Chiara ammannivano le “dita degli apostoli”.»
Altre interessanti testimonianze sono fornite da Stagnani che, in un articolo pubblicato sulla Gazzetta del mezzogiorno del 2 giugno 2005, riporta notizie storiche della originale ricetta in Capitanata, Terra di Bari e Salento, risalente alla metà del XIX secolo.
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