Lardo di Faeto
Rèj de Faite.
- Descrizione sintetica del prodotto
- Processo produttivo
- Storie e tradizione
- Tipologia di commercializzazione
- Iniziative di promozione
Lu rèj (il lardo) di Faeto è ottenuto dai tagli di carne suina proveniente da allevamenti situati nell’agro faetano impiegando genotipi locali, quale il suino Pugliese allevato sui Monti Dauni meridionali (o, comunque, dei genotipi affini Murgese nero, Nero di Gargano, Nero di Capitanata, ecc.). I suini vengono allevati in località Piano Maggese/Scavo ad una altitudine di circa 800 m. Il lardo corrisponde allo strato adiposo che ricopre il maiale sul dorso, dalla regione occipitale fino alle natiche, e che lateralmente arriva fino alla pancetta.
Il lardo di Faeto ha forma rettangolare, con uno spessore non inferiore a 3 cm; esternamente la parte inferiore conserva la cotenna, mentre quella superiore è ricoperta dal sale di stagionatura, da foglie d’alloro e pepe in grani. Può essere presente anche una sottile striscia di magro.
Per la realizzazione del lardo destinato alla cucina per la preparazione dei piatti tipici locali, non si impiegano spezie. Nel complesso, il prodotto appare umido, di consistenza omogenea e morbida, di colore bianco, leggermente rosato. Il profumo è aromatico e tenue, il sapore fresco, quasi dolce, e molto delicato.
I maiali vengono macellati al raggiungimento di un peso vivo non inferiore a 150 kg. Il lardo deve essere lavorato entro e non oltre 72 ore dalla macellazione; viene rifilato, massaggiato con sale e collocato in vasche di legno o acciaio e ricoperto di sale grosso, dove resta a riposo per almeno 48 ore. Il lardo viene, quindi, lavato per togliere il sale in eccesso e cosparso di foglie di alloro e pepe in grani.
La stagionatura dura all’incirca 60 giorni e può essere protratta fino ad un massimo di 90 giorni allorquando lo spessore del lardo sia maggiore. Tradizionalmente, veniva appeso ad un uncino (la n’gginne) su un’asta di legno (la ppèrge), in luogo areato. Il microclima dell’area di produzione, caratterizzato dall’umidità del fiume Celone e dalla purezza dell’aria di montagna, contribuisce al processo di stagionatura e maturazione.
Si narra di un antico rituale di preparazione della “n’gginne”, l’uncino in legno impiegato per appendere il lardo. Ai contadini veniva assegnata una “zona” nel bosco comunale di Faeto, all’interno di cui cercavano un ramo di olmo che avesse la forma di uncino; il ramo scelto veniva posto nel fuoco per renderlo flessibile. Si privava della corteccia e veniva lavorato tra le mani dandogli una tipica forma di gancio, quindi si poneva a seccare.
Quando il lardo era pronto, si apriva la “n’gginne” e la si infilava nel pezzo, agganciandolo poi alla “ppèrge”, anche questa proveniente dai legni degli alberi del bosco comunale di Faeto.
Faeto è una comunità agricola, molto legata alla terra. I prodotti di cui si alimentava la gente, pertanto, erano essenzialmente legumi, cereali e derivati, nonché il maiale, emblema di ricchezza per una famiglia. Oltre alla carne, fresca e trasformata, si ricavavano anche beni non alimentari: con le setole amalgamate alla pece, per esempio, venivano realizzati lacci per le scarpe.
Numerosi sono i riferimenti bibliografici che citano il ‘lardo di Faeto’; ne “Il Borgo natio, Storia diplomatica del Comune di Faeto in Terra di Capitanata” (De Rosa, 1934), si evince che il lardo a Faeto, non solo era una produzione già esistente nell’anno 1440, ma anche che si trattava di un prodotto pregiato da offrire in dono, in occasione del Natale, ai Duchi di Airola, come imposto dal Codice Baronale regolante i diritti e le relazioni scambievoli fra feudatario e abitanti dalle terre della Baronia di Val Maggiore (Faeto, Castelluccio Valmaggiore e Celle San Vito). Dallo stesso testo si apprende che a Faeto periodicamente si procedeva al censimento degli animali, nominando una commissione detta “numeratori di animali” che rilevavano, tra l’altro, i numeri dei maiali esistenti in paese. Il libro riporta anche alcune tariffe di pagamento che gli allevatori dovevano garantire per usufruire del Pascolo Vadicola (anno 1853). Dal testo si evince che il lardo era impiegato anche nell’alimentazione infantile; infatti, quando fu istituito il primo asilo d’infanzia a Faeto nell’anno 1877, fu bandito uno speciale concorso per la fornitura di alimenti, tra cui il lardo. Infine, è riportato l’elenco formato ai fini dell’assisa del 1850 sui generi di pizzicheria, da cui emerge che il lardo aveva un “valore” superiore al prosciutto e all’olio.
Altri riferimenti bibliografici sono “Lo cunt d Tatò. I racconti del nonno” (Rubino e Rubino, 1987) e “Puglia rurale: i territori dei Monti Dauni Meridionali”, edito dalle Regione Puglia nel 2003.
- "Sagra del Maiale di Faeto" (Féte de lu cajùnne de Faite), giunta alla 39^ edizione (2 febbraio 2020).