Olive celline di Nardò in concia tradizionale
Ciline alla capàsa, Volie alla capàsa, Saracena, Scurranese, Cafareddha, Osciula.
- Descrizione sintetica del prodotto
- Processo produttivo
- Storie e tradizione
- Tipologia di commercializzazione
- Iniziative di promozione
La raccolta si effettua direttamente dagli alberi, manualmente o tramite scuotimento delle piante, intorno alla prima decade di dicembre (periodo in cui questa cultivar raggiunge la completa maturazione).
Dopo aver eliminato l’eventuale fogliame presente e le drupe troppo acerbe o che presentano imperfezioni (rotture, punture di insetti), le olive vengono lavate e poste in tradizionali “limbi” o “limmi”, ovvero grandi contenitori svasati in argilla vetrificata, contenenti acqua, la quale viene sostituita quotidianamente per un paio di giorni.
Successivamente, le olive vengono passate in fusti muniti di coperchio contenenti una salamoia satura e - secondo le preferenze locali - diverse essenze aromatiche quali rametti di mirto, infiorescenze di finocchio selvatico, rametti di falso pepe, scorze di agrumi e limoni affettati. Nella preparazione tradizionale vengono impiegate le cosiddette “capàse”, che sono degli orci di grandezza variabile in terracotta vetrificata e caratterizzati dalla presenza di due o tre anse in prossimità del collo.
Nelle prime fasi, i fusti vengono tenuti aperti onde consentire l’evacuazione degli eventuali gas che fuoriescono nelle fasi di fermentazione. La “deamarizzazione” delle olive si completa in circa sei mesi, trascorsi i quali le olive, ormai perfettamente stabilizzate, possono essere trasferite in contenitori più piccoli con il loro liquido di governo filtrato. Si conservano egregiamente per almeno tre anni.