Pianta a portamento determinato, piccola, folta e compatta; fiorisce copiosamente producendo un gran numero di baccelli piccoli, cilindrici recanti all’interno semi verde-chiaro, ben serrati, di forma vagamente cuboide, ovvero sferici e più o meno compressi ai poli nel punto di contatto con gli altri semi. Si presentano lisci se raccolti freschi e più o meno grinzosi una volta secchi. I piselli sono molto dolci e teneri se consumati freschi, ed insostituibili nella preparazione di alcuni piatti tipici della tradizione locale quali "lu scarfatu" e"li muersi a cecamariti".
La coltivazione di questo legume ha subito negli ultimi anni un progressivo declino, confinando la sua diffusione negli orti familiari perlopiù per autoconsumo e per il commercio minuto.
Si tratta di una vecchia varietà che prende il nome dal comune nel quale è ancora oggi coltivata. Secondo alcuni l’appellativo “riccio” deriverebbe dai lunghi e imbrigliati cirri delle foglie, altri lo attribuiscono all’aspetto del seme che, da sferico e liscio nella fase di maturazione lattea, diventa raggrinzito e irregolare a maturazione. Nel 1914 Mannarini lo descriveva così: «Pisello riccio (volgarmente pesieddu rizzu) pianta a foglie arricciate, di poco sviluppo, pochissimo coltivata». Recenti opuscoli locali parlano di una diffusa coltivazione tra fine ‘800 e inizi del ‘900 nei comuni di Alezio, Tuglie, Sannicola, Parabita, Neviano, Aradeo e Nardò, dove era coltivato sui lievi pendii del versante jonico delle Serre, per proteggerlo dai venti di tramontana. Il raccolto dal porto di Gallipoli giungeva sui mercati di Napoli e Roma.
Nardone (2012) riferisce che intorno agli anni ’20: «… a Neviano si coltivavano piselli primaticci pronti già il 20 marzo, di ottima conservazione detti tùllie».
Tradizionalmente questa varietà era coltivata su terreni marginali, sciolti e ricchi di scheletro un po' in tutto il Salento e in particolare sulle falde dei promontori rocciosi, felicemente esposti a Mezzogiorno, che dalle cittadine di Alezio, Sannicola e Nardò degradano verso lo Ionio. Era proprio su questi terreni, peraltro altrimenti difficilmente sfruttabili, che questa varietà offriva i risultati migliori, sia in termini di qualità che di precocità. Inutile dire, che data la completa manualità di questa coltivazione e la laboriosità delle operazioni di raccolta, un vecchio proverbio locale recita: “Le fave le faccia Dio, che i piselli li fa la zappa”.
Il commercio di questi piselli, sino a circa un ventennio fa, dava vita nella cittadina di Sannicola ad un vero e proprio mercato stagionale che si svolgeva nelle ore serali in alcuni appositi spazi. Le varie partite, man mano che giungevano dalla campagna, venivano contrattate e subito caricate raggiungevano come primizie per i più importanti ed esigenti mercati di Napoli e Roma.
Attualmente il commercio dei piccoli quantitativi che ancora si producono rimane confinato negli stessi paesi di produzione indirizzato verso una nicchia di affezionati estimatori.
Al dettaglio tradizionale e in negozi specializzati.