Uva baresana
Doraca, Uva drech, Imperatore, Lattuaria, Lattuario, Roscio, Sacra, Sagrone, Turca, Turchiesca, Uva di cera, Uva rosa.
- Descrizione sintetica del prodotto
- Processo produttivo
- Storie e tradizione
- Tipologia di commercializzazione
- Iniziative di promozione
Presenta acini croccanti, di colore bianco-giallo perlato trasparente, dalla buccia sottilissima e di diametro compreso tra 1 e 1,5 cm. Dal sapore dolce e molto fruttato, se ne riconosce la giusta maturazione solo quando il chicco, diventando trasparente, con eventuale tendenza leggermente al rosato, lascia intravedere chiaramente i semini negli acini.
Il vitigno è capace di grandi produzioni ma si è consolidata la tecnica del diradamento dei grappoli, che permette di ottenere produzioni qualitativamente apprezzabili. Il grappolo, solitamente conico, è di media grandezza (400-500 g) e giustamente spargolo; l’acino è subovale, con buccia sottile, poco pruinosa e pertanto di aspetto traslucido, presenta un’eccezionale croccantezza e consistenza della polpa. I vinaccioli sono piccoli, in numero di 1-2 per acino.
Pur mancando esperienze specifiche nella conservazione post-raccolta, la ‘Baresana’, rispetto alle varietà attualmente diffuse ed esportate, presenta una ridotta conservabilità e conseguentemente scarsa attitudine al trasporto su lunghe tratte. Per questi motivi l’uva baresana resta più adatta ad un consumo locale e nazionale.
Il nome “Baresana”, introdotto con lungimiranza alla fine del 1800 dai piccoli agricoltori per unificare in funzione commerciale la miriade di nomi locali (ad Adelfia ’Duraca’, ad Acquaviva delle Fonti ‘Lattuario’, altrove ‘Sacra’, ‘Roscio’, ‘Imperatore’, ‘Turca’, ecc.), può essere considerato un antesignano dei marchi di origine: “Baresana, ovvero di origine barese”. Infatti, se è vero che la più antica citazione del nome “Baresana” risale al 1892 (Fonseca), nei bollettini ampelografici pubblicati dal Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio sono invece citati o descritti quelli che oggi sono i suoi sinonimi.
È possibile dire che il nome “Baresana” si affermò agli inizi del 1900, conseguentemente all’incremento della coltivazione di uva da tavola in Puglia ed in particolare nella provincia di Bari. A confermare tale ipotesi, nel 1914, il prof. Briganti della Scuola di Agricoltura di Portici, in un articolo sulla rivista Italia Agricola scrisse: «In quasi tutta la provincia di Bari questo vitigno è allevato ad alberello pugliese, senza sostegno, a due branche, ciascuna con uno sperone di due gemme. Per il suo grande vigore si presta bene anche ad alberello a vaso, che consente una più abbondante fruttificazione».
Nel 1930 la Commissione Nazionale Fascista degli Agricoltori (C.N.F.A.), dedica un’opera alle migliori varietà di uva da tavola italiane riservando ampio spazio alla ‘Baresana’.
Nel 1934, il professor Musci, Direttore del Consorzio Antifillosserico di Bari, scriveva: «Per chilometri e chilometri è tutta una lieta distesa di ubertosi ed ammirevoli vigneti […] I carretti originali giungono dalle campagne vicine e lontane o s’avviano alla stazione, portando i superbi grappoli di Baresana».
Lo stesso Musci riportava dati precisi sulle superfici investite ad uva da tavola: nel 1934 la provincia di Bari ospitava ha 3014 appartenenti alla ‘Baresana’. I maggiori centri di produzione erano Ruvo di Puglia, Bisceglie e Adelfia.
- “Sagra dell’uva” a Rutigliano (BA), celebrata in ottobre e giunta alla 57^ edizione nel 2021;
- “Sagra dell’uva e delle frittelle” ad Adelfia (BA), durante la quale vengono promosse le varietà di uva coltivate nel comune barese, tra cui la ‘Baresana’;
- L’uva ‘Baresana’ è inserita tra i prodotti dell’Arca del Gusto della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus;
- La ‘Baresana’ su Wikipedia;
- L’uva ‘Baresana’ promossa nel mercato della terra del GAS AGRIcultura.