Il cetriolo. Caratteristiche e coltivazione del ‘Mezzo lungo di Polignano’
Il cetriolo (Cucumis sativus L.) è una delle piante coltivate più antiche. In Puglia la provincia dove viene più coltivato il cetriolo è quella di Bari, nella quale vengono realizzate le produzioni unitarie più elevate.
Il cetriolo appartiene alla famiglia delle Cucurbitaceae, genere Cucumis, specie C. sativus (2n = 14). Delle oltre 30 specie comprese nel genere Cucumis, la sativus è l’unica non originaria dell’Africa. È una pianta a ciclo biologico annuale.
Il frutto è un peponide di forma allungata, di lunghezza compresa fra 8-12 cm circa, a sezione tendenzialmente circolare di 4-6 cm di diametro. Viene raccolto immaturo e costituisce la parte edule. L’epidermide di colore uniforme o con leggere striature, verde scuro che diventa giallo a completa maturazione, è liscia o leggermente ruvida per la presenza di tricomi, ovvero piccole protuberanze spinose, che talvolta cadono durante l’accrescimento dei frutti o vengono asportate con le manipolazioni di raccolta e confezionamento degli stessi.
Fino a 30-40 anni fa, quando si utilizzavano molte varietà locali, prima di consumarlo, il cetriolo veniva tagliato alle due estremità per produrre, attraverso lo strofinamento su ogni estremità della parte separata, abbondante schiuma, in seguito a ripetuti movimenti circolari. Alcuni, prima dello strofinamento, immergevano le estremità tagliate del cetriolo nel sale, altri ancora tagliavano il cetriolo a fette, lo cospargevano di sale e dopo un’oretta lo sciacquavano per allontanare l’amaro.
Lo strofinamento sulle parti tagliate del cetriolo produce una tipica schiuma bianca che si riteneva riuscisse ad eliminare la sostanza amara presente nel frutto. Ciò avviene anche per il cetriolo ‘Mezzo lungo di Polignano’ (o ‘Liscio di Polignano’).
Nell’avvicendamento il cetriolo precede o segue le tipiche colture orticole invernali quali cavolfiore, finocchio, lattuga, sedano. Nelle colture di serra può seguire una coltura tardiva di pomodoro o, in secondo raccolto, una coltura precoce di pomodoro, melanzana, peperone.
I lavori preparatori iniziano generalmente con un’aratura a 30-40 cm di profondità e proseguono con successive erpicature, al fine di predisporre un letto di semina o di trapianto quanto più possibile accurato. Per evitare la possibile formazione di ristagni idrici, nei confronti dei quali il cetriolo si dimostra particolarmente sensibile, il terreno può essere sistemato a prose.
Preliminare all’impianto risulta la pratica della pacciamatura, effettuata con la stesura di film in polietilene (PE) nero da 0,05 mm. Viene obbligatoriamente preceduta dalla posa in opera di ali gocciolanti o di manichette forate, mediante le quali si provvederà a garantire la necessaria quantità di acqua irrigua o, più frequentemente, ad effettuare la fertirrigazione.
L’impianto avviene per lo più partendo da piantine ottenute da seme autoprodotto dagli agricoltori. I semi sono di forma ovale-allungata, schiacciati, di colore bianco paglierino e di lunghezza variabile da 0,6 a 1 cm; il peso di 1.000 semi è di circa 20-30 g ed 1 g ne contiene di conseguenza da 35 a 50.
Per il ciclo estivo di pieno campo si adotta quasi ovunque il metodo della semina diretta, data l’elevata germinabilità della specie e le ottime condizioni climatiche che si riscontrano in tale periodo. Mentre per le colture in serra si ricorre alla tecnica del trapianto di piantine allevate in contenitori alveolati che oltre a garantire una migliore uniformità di vegetazione e scarse fallanze, consente di ottenere notevoli anticipi produttivi e produzioni areiche più elevate.
L’impianto può essere realizzato a fila singola o binata: nel primo caso le distanze variano da 120-150 cm tra le file e da 35-45 cm sulla fila; nel secondo caso si adottano distanze di 140 cm tra le bine, 120 cm tra le file e 30-35 cm sulla fila.
In entrambe le soluzioni si mira a raggiungere una densità intorno alle 2 piante/m2 (100 x 50 cm).
Distanza tra le piante e densità, tuttavia, possono subire sensibili variazioni in funzione della struttura protettiva utilizzata, del tipo di allevamento e potatura adottati (verticale, ‘a terra’, a stelo unico, a più steli, ecc.), delle diverse epoche e degli areali di coltivazione.
I migliori risultati sono ottenibili allevando le piante a stelo unico.
La messa a dimora, in serra, avviene generalmente dopo la prima metà di marzo, utilizzando piantine allo stadio della prima o seconda foglia vera; è sempre più diffusa, peraltro, la tendenza ad anticipare l’epoca di impianto ai primi di febbraio e di procedere poi, con trapianti e semine scalari, fino alla seconda decade di luglio. Oltre tale periodo non è consigliabile andare, in quanto l’intensificazione delle problematiche fitosanitarie e la progressiva diminuzione della luminosità si ripercuotono negativamente sulla produzione e sulla qualità del prodotto, rendendo spesso la coltura non più remunerativa.
La serra ideale per la coltivazione del cetriolo dovrebbe avere una volumetria pari o maggiore a 2,5-3 m3 per ogni m2 coperto e una larghezza non inferiore ai 5-6 m; dovrebbe essere, inoltre, dotata di aperture laterali e/o al colmo per l’arieggiamento.
La pianta di cetriolo, per la sua conformazione morfologica (in particolare il fusto erbaceo), necessita di tutori. Il sistema di allevamento più diffuso è quello in verticale monostelo che consente di velocizzare notevolmente le operazioni di raccolta, oltre ad avere una positiva influenza sulla sanità e colorazione dei frutti che risultano meno coperti dal fogliame.
Dopo la raccolta dei primi frutti, occorre procedere alla defogliazione dello stelo principale per i primi 40-50 cm, con lo scopo di ridurre la superficie traspirante, aumentare l’efficienza della luce e determinare un maggiore arieggiamento che aiuti a limitare le fitopatie.
In taluni casi, al termine della raccolta dei frutti, si procede alla cimatura del fusto principale, per stimolare l’emissione di nuovi getti ascellari, sui quali sarà possibile recuperare ulteriori quote di prodotto.
Formulare per il cetriolo un piano di concimazione da utilizzare in modo generalizzato risulta pressoché impossibile, poiché questo varia in funzione delle caratteristiche pedoclimatiche degli areali di coltivazione, delle epoche prescelte, delle tecniche agronomiche e, non ultimo, delle precessioni colturali.
In pratica, il principale riferimento è rappresentato dalle asportazioni che, riferite ad una tonnellata di prodotto, corrispondono a 1,6 kg di N, 0,8 kg di P, 2,6 kg di K, 0,5 kg di Ca e 0,5 kg di Mg. Il maggiore assorbimento di K e di N avviene principalmente nelle prime fasi di accrescimento delle piante; quello del P pressoché costantemente durante l’accrescimento e nella fase produttiva, ma in misura minore rispetto a N e K, mentre piuttosto notevole è l’assorbimento di Ca nella fase produttiva.
Notevole importanza assume la tecnica irrigua, soprattutto nel ciclo primaverile-estivo, in relazione alle elevate esigenze della cucurbitacea. Spesso si ricorre ai sistemi per aspersione oppure, come accade in serra, a sistemi a microerogazione. I volumi stagionali si aggirano sui 4.000-5.000 m3/ha.
Per quanto riguarda la lotta alle malerbe, queste possono essere controllate con la pacciamatura impiegando film plastici scuri, altrimenti si ricorre all’uso di erbicidi. Appare opportuno, infine, ricordare la grande utilità degli insetti pronubi nel favorire la fecondazione dei fiori con successiva allegagione e di conseguenza la produzione.
In coltura tradizionale le raccolte iniziano dopo 30-40 giorni dal trapianto e si susseguono con cadenza quotidiana. Generalmente interessano i frutti fisiologicamente immaturi, che manifestano un colore molto intenso, e quindi sono pronti sotto il profilo commerciale. La piena maturazione, infatti, si evidenzia con la comparsa di sfumature dapprima di colore verde-giallo, poi giallo-verde e infine giallo.
Il processo è assai rapido e si accompagna all’intenerimento dei tessuti della polpa, al rammollimento dell’endocarpo e all’indurimento del seme. La raccolta pertanto è tempestiva ed eseguita con le forbici. L’eventuale conservazione del prodotto viene effettuata ad una temperatura relativamente elevata (10-12 °C), per evitare la comparsa dei danni da freddo, ad un’altrettanta alta umidità relativa (90-95%).
Fonte articolo: BiodiverSO.