Curiosità

Il ‘tortarello’: dall’Italia Augustea alle tavole di Puglia

Il ‘tortarello’: dall’Italia Augustea alle tavole di Puglia

L’immagine riprodotta in copertina, “Fruttini votivi di terracotta”, risalente al V sec. a.C., viene dal Museo Archeologico Nazionale di Taranto ed è inserita nella descrizione della “Alimentazione nel Bruttium”, l’antica regione dei Bruttii che formava, assieme alla Lucania, la Regio III, una delle undici regioni in cui era divisa l’Italia Augustea. Per questa antica regione «fonti antiche (Plinio) documentano la coltivazione e l’uso alimentare dei “tortarelli” verdi: una varietà di melone diffuso in tutta la Magna Grecia (Policoro, Taranto), ma anche in altri siti del bacino del Mediterraneo (Olinto, Argo) il cui gusto ricorda quello del cetriolo» (Casaluci, 2015).

Nell’immagine votiva sono raffigurate mele, capsule di papavero e un esemplare di ‘tortarello verde’; i primi due sono ben conosciuti all’interno della nostra alimentazione quotidiana e in pasticceria, ma il tortarello verde?

Il tortarello (C. melo L. subsp. melo var. flexuosus L. Naudin) è una cucurbitacea diffusa su tutto il territorio pugliese, e non solo, i cui frutti sono consumati immaturi, crudi in insalata o per accompagnare primi piatti. Le popolazioni di tortarello sono ritenute estremamente interessanti, perché rappresenterebbero la traccia di antiche varietà di melone dell’epoca egizia di cui non sono disponibili esemplari nelle collezioni di germoplasma di Naudin, Pagalo e Grebenscikov (Hammer et al., 1986). 

L’assenza di barriere agli incroci intraspecifici è alla base della notevole variabilità di caratteri osservata nel germoplasma di queste popolazioni di melone, soprattutto per la morfologia dei frutti. Questi sono più o meno lunghi e tortuosi, bianchi o verde più o meno scuro e, in qualunque caso, privi del sapore amaro anche quando immaturi (Conversa et al., 2005). La facilità di incrocio ha reso possibile un polimorfismo accentuato anche per la lunghezza degli steli. Infatti si riscontrano tipi con portamento più o meno compatto e con steli lunghi anche oltre tre metri (Bianco, 1990).

Il materiale di riproduzione è solitamente prodotto in azienda direttamente dall’agricoltore, per selezione, ma alcune ditte sementiere locali assicurano la distribuzione delle popolazioni più interessanti: “Cocomero tortarello verde”, “Tortarello bianco barese”, “Tortarello verde barese”, “Tortarello pugliese”, “Cetriolo tortarello barese chiaro”, “Cetriolo tortarello barese scuro”, con non poche sinonimie e confusioni...

È diffusa anche la produzione di piantine in vivaio, molto spesso commissionata dall’agricoltore che fornisce il seme direttamente selezionato in azienda. 

Per quanto riguarda la coltivazione di questo Prodotto Agroalimentare Tradizionale, le esigenze climatiche sono simili a quelle del melone: la semina o il trapianto vengono effettuati in pien’aria quando è superato il pericolo dei ritorni di freddo e la temperatura del terreno si mantiene superiore a 12-15 °C. Generalmente l’impianto si realizza su terreno pacciamato a partire dalla seconda metà di aprile, fino a tutto maggio, a seconda delle zone. La coltivazione in serra o piccoli tunnel consente di anticipare la fase di impianto anche a gennaio-febbraio se si tratta di serre riscaldate. 

La semina, che si effettua solitamente a postarelle distribuendo 4-5 semi, è seguita dal diradamento. In pien’aria la raccolta può iniziare c.ca 45 giorni dopo. L’impianto in pien’aria è effettuato a fila singola o a file binate con densità di 2-2,5 piante/m2 a seconda del portamento della pianta; in serra sono gestibili densità maggiori (4-4,5 piante/m2) soltanto con l’allevamento in verticale delle piante. È consuetudine effettuare diverse cimature successive a partire dallo stelo principale per stimolare la ramificazione e per contenere l’espansione della pianta. 

A fronte di interessanti potenzialità produttive, la considerevole variabilità dei caratteri biomorfologici all’interno di una stessa popolazione molto frequentemente rende aleatorio l’esito della coltura. La produzione è piuttosto variabile in funzione dell’ambiente di coltivazione e del ciclo produttivo; in pieno campo sono state ottenute produzioni da 10 a 30 t/ha. 

La raccolta è effettuata quando i frutti presentano polpa consistente e croccante, i semi sono ancora abbozzati e la cavità placentare è assente. Con il procedere dell’accrescimento del frutto aumenta l’incidenza dello scarto attribuito ai tessuti placentari e ai semi e si modifica la caratteristica fragranza del frutto immaturo. 

Non sono reperibili notizie ufficiali circa la diffusione della coltivazione di questi ortaggi; in Puglia si stima una superficie coltivata di pochissimi ettari (c.ca 100 ha) sparsi in piccolissimi appezzamenti.  Il prodotto è destinato esclusivamente al consumo locale, si trova in prevalenza in mercati rionali e piccoli punti vendita; è particolarmente gradito dal consumatore per l’assenza del sapore amaro, la sensazione di freschezza e per la buona digeribilità, sicuramente migliore del cetriolo. I frutti sono molto ricchi di acqua (93-96%) e potassio (1.100 mg/kg di p.f.); basso è il contenuto di acido ascorbico (10 mg/100 g di succo) e nitrato (160 mg/kg di p.f.).

Oltre a segnalare l’immagine dell’offerta votiva presente nel Museo Archeologico Nazionale di Taranto, che ci svela quanto sia antico il tortarello, Francesca Casaluci, collaboratrice del Parco Otranto-Leuca, partner del progetto “Biodiversità delle specie orticole della Puglia” (BiodiverSO), in un contributo che ha pubblicato sul sito web del progetto BiodiverSO (2015), ricorda che «nell’antichità la protezione dei campi, dei lavori agricoli e dei prodotti della terra era affidata a numerose entità tutelari, maggiori e minori, con competenze specifiche o più generiche. A queste venivano offerte primizie e, più in generale, cibo. L’atto di “dare” in dono alla divinità doveva determinare un “avere” nel momento del raccolto.» E ancora: «Talora riproduzioni in terracotta prendevano il posto di offerte deperibili. Questo ha reso possibile che alcune testimonianze di queste pratiche rituali giungessero fino ai giorni nostri. Frutta e verdura ricoprivano anche un importante ruolo simbolico: basti pensare alla melagrana, simbolo di regalità e di fecondità, attributo di molto dee telluriche. Lo stesso vale per il papavero, attributo di Cerere/Demetra, rappresentato anche in alcune statuette minoiche sul capo di una dea con le braccia levate verso il cielo.» E il tortarello? Francesca non si ritrae: «Il tortarello potrebbe essere invece legato alla fecondità maschile, come molti vegetali lungiformi.»

Fonte articolo: BiodiverSO.