La bombetta. Tutti i segreti del fornello pronto martinese
Martina Franca, oltre ad essere la capitale del barocco della valle d’Itria è anche quella della prelibata carne al “fornello pronto” infilzata in appositi spiedi e fatta arrostire in verticale all’interno di una cupola, ricavata con la stessa pietra calcarea utilizzata per costruire le mura e le abitazioni del centro antico. La realizzazione di questi forni si è tramandata di generazione in generazione tra i muratori martinesi, soprattutto nelle curvature e nelle altezze per evitare di bruciare le carni in punta agli spiedi. Gli esemplari sopravvissuti, quelli più antichi, risalgono al secolo d’oro: il Settecento, quando Martina Franca visse una vera e propria rivoluzione urbanistica, edificando una delle città più belle del Sud Italia sotto il profilo artistico ed architettonico. Questi antichi forni non sono solamente i custodi di un pezzo di storia ma nascondono i segreti secolari della tradizione gastronomica che ha caratterizzato la cucina martinese e rappresentano la capacità dei macellai di averli tenuti in vita, eredi di quei forni a carbonella presenti anche nei comuni della Valle d’Itria, con la variante delle cupole che ricalcano la storia delle costruzioni a secco dei trulli.
I macellai martinesi sono stati custodi e al tempo stesso generosi divulgatori anche alle nuove generazioni dei metodi di legare e annodare le interiora di agnelli e capretti, trasformandoli in veri e propri involtini che in alcuni casi vengono definiti impropriamente “fegatini” (variante del tradizionale “gnummeridde”) ma anche la “cervellata”, tipica salsiccia fresca di carni tritate salate e innaffiate di vini bianchi o con il più pregiato vin cotto e spinte col dito in un imbuto per essere raccolte in una budella secondo le antichissime tradizioni della vicina lucania. Molti di essi sono ancora oggi ricordati con i soprannomi dell’epoca: “Salvasoudde”, “Palettone”, “Caitène u Mozze”, “Perricchie”, “Pugghiese”, “Castaridde”, “Spezzéte”.
Famosi macellai martinesi che durante le festività religiose e le fiere di San Martino e della Candelora erano presi letteralmente d’assalto dai numerosi forestieri che consumavano di tutto, comprese “le wirce” o “capuzzélle” (testine di agnello o capretto) al fornello servite spaccate in due, derivante, probabilmente, dalla tradizione degli antichi pastori della transumanza che attraverso il “Regio Tratturo Martinese” percorrevano queste “vie erbose” dall’Abruzzo alla Puglia fino alla Calabria. Il segreto di quelle carni un tempo consumate da contadini e manovali per arricchire di proteine la loro povera tavola casalinga, si è poi arricchita con un altro tipo di carni, adatte alla cottura “sugosa”, sempre su spiedi in verticale, a debita distanza dal fuoco nel fornello: nacquero così le “bombe” o braciole di scottona di vitello per arrivare, finalmente, alle più recente “bombetta di Martina Franca” di maiale, passata dalla brace al fornello con non poca fatica per ottenere la cottura giusta solo verso la fine degli anni ’70 del secolo scorso. Artefice di questa innovazione fu Michele Lasorte (detto Ninuccio), che aveva la macelleria in via Valle d’Itria, e fu un successo, altri macellai martinesi lo imitarono, compresi quelli che emigrarono nei paesi limitrofi della valle d’Itria.
Oggi Martina Franca rivive i fasti di una volta, nuove generazioni di macellai preparano la “bombetta” anche con alcune varianti mettendo attorno una sottile fetta di pancetta arrotolata o impanate nel pane grattugiato prima della cottura. Con l’avvento delle bracerie, che hanno ulteriormente potenziato l’offerta della carne cotta, da portare a casa ma preferibilmente da mangiare direttamente in macelleria, sono migliaia gli avventori che gustano la tipica “bombetta di Martina Franca”.
Ma il gusto del tradizionale “fornello pronto” fa aspettare volentieri l’appuntamento con gli spiedini scaricati direttamente sulla carta e sul banco, con la carne.
Fonte articolo: Silvio Laddomada - Editrice Apulia 2006.