Storia e tradizione

Stare insieme a tavola. Storia e tradizione del sopratavola pugliese

Stare insieme a tavola. Storia e tradizione del sopratavola pugliese

«Un tempo, quando non c’erano le televisioni e i media, la comunicazione tra gli uomini si svolgeva in gran parte intorno alle tavole ed erano i sapori, colti lentamente assaggio dopo assaggio. Quando la comunicazione funziona intorno ad una tavola e nessuno si alza, e si sparecchia, e poi riappaiono di nuovo in tavola tanti piccoli assaggi che mischiano il dolce al salato, i vini accanto ai liquori e al caffè, le verdure fresche dell’orto vicine alle confetture, alle creme e alle conserve, e quando una pietanza in tavola finisce, subito un’altra ne appare ed è un andare e venire… ecco questo è il sopratavola: questo riapparecchiare la tavola di continuo senza mai porre fine al pranzo.»

Con queste parole veniva descritto nel 2014 il sopataue (sopratavola) sul sito web “Quoquomuseo del gusto”, oggi non più attivo ma cui contenuti possiamo ritrovare sulla pagina Facebook Quoquo museo del gusto.

Una lode culinaria allo stare insieme, il cibo della terra che tiene uniti i commensali, che fa da contorno alla conversazione e la accompagna dal pranzo fino alle tarde ore della sera. Il sopratavola è un modo di essere tutto pugliese, dalle tradizioni antiche che riscopriamo all’interno  di numerose testimonianze e documenti.

Una ricerca condotta nell’ambito del progetto “Biodiversità delle Specie Orticole della Puglia” (BiodiverSO), finanziato dal PSR Puglia, ha riscoperto il “sopra tavola” («ovvero il dopo pasto che poteva essere una serie di finocchi, oppure una serie di sedani ma anche una bella cicoria catalogna di Galatina») in un vecchio video Rai dedicato ai prodotti alimentari della tradizione di Puglia. Al minuto 7 e 40’’ viene descritto il “sopra tavola”: «Lo stesso nome dice che è un qualcosa al di fuori del pranzo perché il sopra tavola non si mangia si pilucca nelle pause delle lunghe chiacchiere che seguono il pranzo. Nel sopra tavola c'è di tutto: pinoli, castagne del prete, cioè castagne al forno, semi, nocelle, fichi secchi, o più pugliesemente "chiacuni", sedani e ravanelli. Il sopra tavola non è un di più; è un graduale distacco dal pranzo della domenica».

Vittore Fiore, poeta, scrittore e autore televisivo, figlio del più famoso Tommaso, quel formicone del sud amico di Gobetti e del pensiero liberale ne parla nel libro “Lo stivale allo spiedo. Viaggio attraverso la cucina italiana” (Accolti e Cibotto, 1965): «Il sopratavola va piluccato: un po’ qua e un po’ là. E basta». E ancora, «quel po’ di sfizierie che segue al lunghissimo pranzo».

A Bari il sopra tavola (sopatau in dialetto barese) è la verdura cruda. Il sopatau viene descritto da Panza nel libro "Le checine de nononne" (1982) in questo modo: «Alla tavola dei baresi non può mancare la verdura da mangiare cruda: finocchi, sedani, ravanelli, cime cicorie, lattughe, torsoli che mettono lo stomaco un po' in ordine dopo quello che si è mangiato prima. Questi sedani di Monopoli, i rapanelli degli orti lungo il litorale di Mola, le cicorie di Bisceglie, i finocchi dolci come zucchero che gli ortolani baresi piantano nei propri orti per esportarli anche all'estero in gran quantità, è mai possibile che non debbano deliziare anche i paesani a metà di un pranzo raffinato nei giorni di festa?» (fig. 1).

Sada nel libro “La cucina pugliese in oltre 400 ricette” (1994), a partire da pag. 173, dedica un’intera sezione del libro al “sopratavola” (fig. 2). E così descrive i Supatauue: «Prima del “dessert” o “disservita”, l’antica “desserta” dei Francesi, i Pugliesi amano soddisfare la gola o un residuo appetito con il post-pasto e i ritocchini. È un retaggio della Magna Grecia. Archestrato infatti consigliava di non seguire i Siracusani: “Non seguir l’uso loro, i cibi mangia, che t’indicai: tutti quegli altri, e mela e fave e ceci cotti e fichi secchi per sé di turpe povertà son mostra…”. Ma erano in uso presso i Romani che concludevano le secunde mensae con la lattuga, consigliata dai medici come quella che contribuiva a dissipare i fumi del vino. Il misto per un postpasto è detto sopàtavuue (nel barese), scàfogghie (dai brindisini), scafoie (nel leccese). Il primo posto l’hanno gli ortaggi crudi, che qui non verrò esaminando; sono tanti e con la terminologia dialettale, cangiante da paese a paese, che occorrerebbe un dizionario. Capintesta sono il sedano, dalle grosse e carnose coste, le cime cicorie dolci, sugose. In primavera si possono trangugiare i legumi novelli. Non disdegnate di lacerare con i denti le coste dei morbidi, anaciati finocchi; la pastinaca, dalle radici zuccherine e aromatiche; lo stocco del cavolo gongiloide (che i baresi chiamano cape di morte, per la forma simile ad un cranio); il carosello bastardo; i cetrioli; le succose e fresche foglie di lattuga; i ravanelli pepati. Poi una lunga serie di ritocchini, (…)»

Inoltre, Bruno nel 2010 ci riportava a mente il sopratavola, con interessanti paralleli con altre culture mediterranee, in un articolo ricco di notizie intorno ad uno dei prodotti orticoli più caratteristici di Puglia (oggi non più disponibile online). L’autore riporta che in Spagna “finocchi, sedani e cicorie di Galatina prendono il nome di “sobre mesa” (in tavola). È quindi probabile che la tradizione “te lu subbra taula” sia un’eredità della dominazione spagnola del Salento leccese. Infatti, nel 1463, sotto Ferrante d’Aragona, termina l’epoca della contea e Lecce si trasforma in “Sacro Regio Provinciale Consiglio Otrantino”, e acquista sempre più importanza fino a divenire una delle città del Regno più ricche e culturalmente vive, seconda solo a Napoli.

E per finire, nel mensile locale “U Corrìire de BBàre” di dicembre 2011 viene descritta la tradizione della vigilia di Natale in cui si consuma a Bari il “Sopatàuue” (fig. 3).